POCHE SETTIMANE DOPO L’ASSASSINIO DI GIACOMO MATTEOTTI LA SUA FIGURA VENIVA RICORDATA DAL GRANDE INTELLETTUALE SPAGNOLO MIGUEL DE UNAMUNO

Miguel De Unamuno

MATTEOTTI E DON CHISCIOTTE. Un’intervista a Miguel De Unamuno raccolta da Comunardo Braccialarghe nel luglio 1924, con un saggio introduttivo di Mirko Grasso

Comunardo Braccialarghe (1875-1951), un dimenticato fuoriuscito di tendenze socialiste nasce a Macerata, figlio di un operaio anarchico. Seguendo le orme del padre, è prima attivo come agitatore sindacale nella sua provincia, poi si arruola nella colonna garibaldina formatasi per partecipare alla lotta di indipendenza di Creta e della Macedonia. Fugge in Argentina nel 1910 a causa di una condanna per bancarotta fraudolenta, ritagliandosi un ruolo di primo piano nelle relazioni tra Italia e America Latina anche per via della sua prolifica attività di scrittore, romanziere e conferenziere.
La collaborazione con le principali riviste letterarie del paese, in particolare sull’influente “Nosotros”, sulla quale pubblica anche numerose traduzioni di importanti opere della letteratura argentina come quelle di José Hernández, gli garantisce grande visibilità nella sua forte – e mediatica – lotta al regime italiano (firma tutti i suoi lavori con lo pseudonimo Folco Testena, con il quale diviene famoso). In America Latina, sino alla metà degli anni Trenta, combatte la sua battaglia antifascista collaborando anche con Giuseppe Parpagnoli, un tipografo italiano molto attivo nel nome di Matteotti, vicino a Salvemini e agli ambienti di “Italia Libera”.
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Sino alla fine degli anni Venti l’antifascismo di Testena è molto netto, a Buenos Aires diviene un esponente di spicco della concentrazione antifascista con la fondazione del Circolo Matteotti e la collaborazione all’organizzazione di numerosi eventi politici (comizi, conferenze, dibattiti) però segnati dalle divisioni ideologiche presenti tra dei vari fronti antifascisti, trovando anche spazio sulle pagine di “Italia Libre”, il giornale dell’omonimo movimento antifascista diretto dall’esule Nicola Cilla. Poi Braccialarghe viene espulso dall’Argentina nel 1935, per “intemperanza verbale” nei confronti del ministro degli Esteri che aveva votato a favore delle sanzioni all’Italia dopo l’aggressione all’Etiopia. In quel momento, pare per motivi economici e difficoltà della sua famiglia, l’esule sembra ripiegare su sponde più morbide o meno platealmente ostili verso il regime.
Nel 1924 dall’Argentina collabora con il quotidiano “La Giustizia. Quotidiano del Partito Socialista Unitario Italiano” allora diretto da Claudio Treves (erede de “La Giustizia. Difesa degli sfruttati” di Prampolini, nella sola Milano nel marzo del 1924 se ne vendevano 7.600 copie ed era il terzo periodico più diffuso dopo “Il Corriere della Sera” e “L’Avanti!”), di cui Matteotti era stato l’animatore più autorevole. Su questa testata il 13 agosto del 1924 (il 16 si sarebbe trovato il corpo del deputato socialista) intervista Miguel de Unamuno: il testo pressoché sconosciuto lo si pubblica più avanti dopo queste brevi note. Il grande pensatore e scrittore spagnolo in quell’anno ha subito l’arresto e poi l’esilio a causa dei suoi attacchi al re Alfonso XIII e al dittatore Primo de Rivera che aveva assunto il potere a seguito di un colpo di stato nell’anno precedente. Portato al confino nelle Canarie (isola di Fuerteventura), De Unamuno era poi evaso alla volta di Parigi raggiungendo Hendaye, sulla costa basca, città in cui in parte vive il suo volontario esilio. In Italia De Unamumo è molto popolare, la sua opera è stata molto apprezzata e ha fornito risposte alle inquiete generazioni protagoniste del nuovo secolo, soprattutto quelle che si interrogavano sulla possibile convergenza tra socialismo e cristianesimo attraverso il modernismo. Il pensiero di De Unamuno, è noto, trova caratterizzazione dal contrasto fra le istanze della ragione e quelle della vita in una visione di tragica lotta e il suo modello ideale è la figura di Don Chisciotte, cui dedica l’opera Vita di Don Chisciotte e Sancho (1903). L’eroe di Cervantes viene da lui inteso come suprema incarnazione dell’idealismo umano che persegue una difficile meta. In questa cornice è interessante osservare l’innesto della figura e del destino di Matteotti.
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In questo quadro è quindi interessante trovare nell’intervista a De Unanumo l’aggancio a Matteotti: l’autore del più importante libro sull’eroe di Cervantes non poteva tralasciare il forte richiamo al destino del martire socialista, destino che parla, come scrive ancora Zanotti Bianco ne L’assassinio di Matteotti, «a molti italiani incorrotti, ma deboli» che lottando per la libertà, la giustizia e la verità seguono la propria coscienza, per salvare la dignità della patria «fino all’ultimo respiro di vita». Nel testo che leggiamo traspaiono importanti passaggi utili anche per valutare la sensibilità e gli interessi di Braccialarghe, una figura che andrebbe certamente scandagliata e analizzata a fondo anche per comprendere ragioni, motivi e prospettive di quella che Nenni definì la disfatta socialista: lo scontro cioè tra regime e democrazia.
(Mirko Grasso)

Comunardo Braccialarghe

UN’INTERVISTA CON MICHELE DE UNAMUNO
Las Palmas, luglio 1924


Miguel Unamuno mi ricevé nella hall dell’albergo, a mezza strada tra il Puerto de la Luz e la città di Las Palmas, nella Grande Canaria.
Di mezzana statura, forte, canuto, molto miope, ha nei solchi della fronte la traccia profonda di un pensiero che non dorme, e ha una irrequietezza d’una sensibilità che ha la sua fonte nel lavorio incessante d’una intelligenza adusata alla lotta con il dubbio che s’acquatta dietro ogni «verità comprovata». Se potessi farmi una lecita definizione della personalità di Unamuno, lo direi l’uomo nato per muover battaglia a tutti i dogmi, siano religiosi, o politici, o culturali.
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Sino la vigilia, Miguel de Unamuno aveva vissuto insieme all’altra vittima del Direttorio dei Generali, Rodrigo Soriano, nell’isola di Fuerteventura, a circa 60 mila miglia da Las Palmas. Oh, i generali non celiano: avevano scelto, tra le isole ridenti delle Canarie, la più arida, la meno abitata: terra feracissima ma sempre assetata, onde lo spopolamento e lo squallore.
Una stretta di mano di quelle che valgono ogni più affettuoso saluto, un minuto di silenzio; eppoi, come vogliono coloro che «non vogliono commuoversi», fuoco alla sigaretta…
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Poi parlammo del futuro, che in questo caso può essere benissimo indicato con la parola domani. Unamuno è ottimista. Il Direttorio, nato dall’inerzia, vivacchia per l’inerzia. La caratteristica dei regimi personali, o di casta, che oggi imperversano, è quella di esser sorti sulle basi di errori gravi e lunghi delle democrazie. Il sindacalismo insurrezionale in Ispagna, Bela Kun in Ungheria, il miracolismo comunista in Italia (e di questi fenomeni, anche a non tenere conto della guerra, bisogna cercare l’origine nell’abulia colpevole delle classi che tenevano il Governo e si eran vuotate di ogni idealità), gettarono il panico nelle pavide anime delle classi medie.
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-E adesso?
-Adesso? Perseverare. La nostra missione è quella di gridar sempre più fortemente la verità democratica e aggruppare, attorno al concetto sano, razionale, infrangibile della libertà tutte le coscienze d’ogni nazione. Prima, vivere. E, del resto, vivere per essere liberi è già filosofare. La libertà, che è dignità; la libertà senza la quale non v’ha possibilità di elevazione, né per i singoli, né per i popoli. Bisognerà avere l’onesto coraggio di rinunciare, tutti un po’, ai formalismi programmatici, alle restrizioni scolastiche, alla mania cerebrale di voler oggi dar sesto al mondo dell’avvenire secondo il modello arbitrario delle nostre simpatie; bisognerà decidersi ad abbandonare la buffa pretesa di essere noi i dittatori delle generazioni non nate. Con un programma minimo di libertà, riusciremo in breve tempo a licenziare cotesti piccoli uomini.
-Don Miguel, quando ritornerà a Salamanca?

… il vostro – e nostro – Matteotti…


-Tra pochi mesi, ossia, quando non ci sarà più dittatura. E poiché ella dirà qualche cosa di questo nostro colloquio sul giornale socialista di Milano, metta in rilievo questi due aspetti dell’amnistia che ci è stata imposta: prima di tutto, il Direttorio non poteva più resistere alla pressione morale dell’intellettualità di Spagna e del mondo, protestante contro il nostro esilio. Il Direttorio che si sentì perduto sin dalla vittoria delle sinistre francesi, ed ebbe un nuovo e forte scossone dalla del vostro – e nostro – Matteotti, per quel dispetto che nutrono contro le persone intelligenti quelli…che non lo sono, non sapeva rassegnarsi a revocare il nostro esilio. Sapeva, sentiva che noi, dall’esilio, esercitavamo con più prestigio ed efficacia l’opera nostra di demolitori della dittatura; ma la loro boriosa testardaggine faceva procrastinare la revoca del decreto mostruoso. Lo dica ben chiaro: la cosiddetta amnistia ci ha raggiunti quando non ne avevamo più bisogno; essa fu largita quando il Direttorio seppe che nelle acque di Fuerteventura era giunta la nave inviateci dalla democrazia francese per sottrarci all’esilio. E dica anche che noi andiamo a Parigi e non in Ispagna, perché abbiamo fondate ragioni di temere l’insidia e non vogliamo essere assassinati in un canto di strada da qualche sicario cui sia stata garantita l’impunità.

Mirko Grasso

Confinato a Fuerteventura, nelle Canarie, Miguel de Unamuno così evoca l’ombra di Matteotti e il suo sacrificio:

«Sereno e solo, in riva all’Atlantico sonante, Unamuno saluta la grande ombra di Matteotti,

O mio Fratello! Insieme ci ergemmo contro l’ignominia. Tu irrorasti del tuo nobile sangue l’inaridito cuor del popolo tuo: e da quel cuore, dal tuo sangue, adesso fioriscono i virgulti imperituri.

Tu sei l’Italia, o mio grande fratello…No! Tu sei molto di più: sei la protesta dell’anima del mondo. Ave Fratello!»

(in Giacomo Matteotti, Scritti e discorsi vari, a cura di Stefano Caretti, PLUS, Pisa 2014, p. 26)

I TESTI INTEGRALI DEL SAGGIO E DELL’INTERVISTA SARANNO PUBBLICATI SUL PROSSIMO FASCICOLO DELLA RIVISTA “TEMPO PRESENTE”